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La favola indie di Gazzelle, dai piccoli locali allo Stadio Olimpico in 85 mesi

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AGI – “Ciao Regà”. No, non è il saluto di un amico che ci ha raggiunti al bar, è il messaggio che scorre sugli schermi del palco allestito all’interno dello Stadio Olimpico di Roma pochi secondi prima che abbia inizio il concerto di Gazzelle.

I “regà” sono 47mila e quello è il primo concerto in uno stadio per Gazzelle, uno dei principali protagonisti di quella rivoluzione cantautorale ormai convenzionalmente definita “indie”. Poi quella fase della nostra musica è finita, per certi aspetti purtroppo, per altri fortunatamente, perché il famigerato mainstream, in quegli anni utilizzato come vezzeggiativo per tutta quella musicaccia dal quale l’indie, bontà sua, ci ha salvato, quell’orrenda musica televisiva fatta da ragazzini senza cognome, almeno è servito a tirare una linea dritta tra chi ha i numeri per diventare un artista, uno che ce la fa in una giungla sempre più feroce, da professionista e artista vero, e chi ha avuto la fortuna di un’intuizione, chi, strimpellando strimpellando, si è fatto trascinare in alto da una wave che, impietosamente, giustamente, lo ha poi riportato alla sua dimensione naturale. Ma questa è un’altra storia.

Quella che invece intendiamo raccontarvi parla di un ragazzo che esce con il suo primo singolo, “Quella te”, il 9 dicembre del 2016, esattamente 85 mesi fa, prima di allora lo hanno sentito suonare solo a Spaghetti Unplugged, un fortunatissimo open mic per artisti esordienti che ha animato le domeniche sera romane (poi anche bolognesi e milanesi), proprio in quegli anni, quando il pubblico voleva di più, si era stufato di quella musica precotta da talent e pretendeva, dunque, anche a costo di qualche scoordinazione tecnica, un po’ di autenticità, di onestà, qualcuno che riuscisse ad interpretare la propria realtà, una realtà che, come quella di adesso, non è che fosse brillante.

Tant’è che è un attimo che Gazzelle, al secolo Flavio Pardini, viene scambiato per uno che compone canzoni tristi, ma quelle di Gazzelle non sono canzoni tristi, sono canzoni confortanti, che è tutta un’altra cosa, è il codice che, come cantautore, ha trovato per coinvolgere il pubblico nella propria musica, per raccontarlo, non per metterlo dalla propria parte ma per far capire che lui sta dalla loro, come una controstar, esattamente l’opposto della plastificazione televisiva allegrotta che ci veniva impietosamente propinata e che non aveva, ne avrà mai nel tempo, adesso possiamo definitivamente decretarlo, alcun significato.

Il pubblico alza le braccia, rinuncia a raccontarsela, vuole affrontare, anche in musica, le proprie turbe, i propri disagi, e nessuno li canta meglio di Gazzelle; c’è qualcosa di diretto nella sua scrittura, qualcosa che fa centro, che decodifica i tuoi malumori e anche le tue reazioni, la caduta e la risalita, titolo, inizio, svolgimento e fine di un amore. Pacchetto completo. Dentro la discografia di Gazzelle ci trovi tutto ciò che ti può essere utile per affrontare i tuoi drammi ed uscirne non solo esausto dallo sfogo e capito, ma perfino in qualche modo arricchito. Attenzione, l’accordo non è “Ce l’ha fatta lui, ce la faccio pure io” ma “Ho qualcuno con cui farcela, assieme”, che è tutta un’altra cosa.

Quello dell’Olimpico infatti è come se rappresentasse un appuntamento per un’intera generazione, in uno stadio, non semplicemente per assistere ad un concerto ma per partecipare ad un concerto, una cosa che riguarda ognuno di loro da vicino, perché su quel palco quella sera ognuno ha celebrato la forza della propria storia, che poi a cantarla sia un ragazzo, un amico, Flavio, Gazzelle, è del tutto secondario; quelle loro storie, così umane, così piccole, come piccoli siamo noi, in fondo, anche quando i nostri drammi ci sembrano detonatori pronti a far esplodere l’universo, sono cantate lì, su un palco grandissimo, pieno di luci, e ci sono tutti, ci siamo tutti, siamo tutti lì, perché quel palco non tratteggia solo i lineamenti del successo di un cantautore, ma quello di tutti i ragazzi che quel cantautore con le sue canzoni ha cantato in questi anni. Il punto di arrivo di un’intera comunità.

Il palco è organizzato bene, il videowall viene pensato un po’ come le pagine di un diario di scuola che scorrono, ha quei colori lì, quella vivacità lì, quegli schizzi umorali, perfetti per accompagnare la musica di Gazzelle. Lui lassù è totalmente a proprio agio, non lascia intuire alcun tipo di emozione, non calca sull’acceleratore in quel senso, non enfatizza il fatto che in quel momento si sta materializzando un sogno più grande del suo stesso sogno, ma il tutto non con freddezza, non con la spocchia di chi sapeva di essere destinato a quella grandezza, più che altro quasi con l’educazione di uno che non vuole prendersi troppo la scena, come se il nome su quel cartellone fuori dallo Stadio Olimpico non sia il suo.

Decide di distribuire due parole qua e là, niente di politico, di volutamente spiazzante, all’affannoso inseguimento del memorabile, come succede quasi sempre, del tipo “Senti qua ora cosa ti dico…”; ma sceglie, in linea di massima, di tenersi tutto dietro gli immancabili occhiali da sole, che sono un po’ la sua maschera di Batman, quelli che da Flavio lo trasformano in Gazzelle, quelli che in qualche modo lo neutralizzano ma, invece di creare un distacco, al contrario, tipo effetto fionda, ti danno l’impressione che siate tu e lui da soli in una stanza. Si concede una sigaretta, sorseggia un gin tonic, ci trascina in un qualsiasi dei localacci della provincia italiana che ha affrontato per arrivare lì dov’è adesso. Passano gli amici, artisti come Marco Mengoni, Mara Sattei, Fulminacci, Mobrici, perfino Luciano Ligabue, che sigilla il momento ricordandogli che si tratta di una serata che segnerà un prima e un dopo, che quello è il primo passo verso qualcosa, un qualcosa che Gazzelle potrà meritarsi solo continuando a non tradire se stesso, così come fatto finora.

Ogni tanto abbassa gli occhiali per godersi lo spettacolo a colori, in fondo se lo merita, specie verso la fine, quando quegli occhiali li toglie e torna Flavio, abbracciato dalla band e dallo staff, incredulo, come risvegliato da un sogno bellissimo in cui è riuscito ad intrattenere quasi 50mila persona con la sola forza delle sue storie, ad incatenarli in una sera d’estate con le parole, non con offensivi balletti e reggaeton, non a colpi di hit sculettanti; parole che non un solo ragazzo tra parterre e tribune si perde, anzi, particolarmente vissute, ricalibrate ognuno sul proprio sentimentalismo, che poi è la sfida più ardua da vincere, tutto il resto, la visibilità, i numeri, il successo, le classifiche, sono solo un’insulsa conseguenza al confronto.

“Vita paranoia”, “Sbatti”, “Zucchero filato”, “Scintille”, “Scusa”, “Punk” (che pezzo stupendo!), “Quella te” (of course), “Destri”, con Gazzelle il pubblico riattraversa anni di musica, anni di storie personali, fino ai pezzi di “Dentro”, l’album uscito solo qualche settimana fa, ancora una volta azzeccati, come “IDEM”, “E pure…”, “Non lo dire a nessuno” e “Flavio”; per concludere poi con “Non sei tu”, che anche se lì per lì non è una canzone da gran finale (in futuro magari utilizzerà “Flavio”, che sembra fatta apposta) è effettivamente quella che ha fatto scattare la scintilla. Una scintilla che è diventata un incendio dirompente, un fuoco che ha generato una favola incredibile che, a questo punto, chissà cosa altro ci riserverà (sicuramente un tour nei palasport tra marzo e aprile nel 2024).

“Ci”, al plurale, perché Gazzelle, come icona, come cartella che contiene tutte quelle canzoni così significative per chi le ascolta, in un tempo in cui scrivere canzoni sembra solo un metodo per ottenere altro, non appartiene solo a Flavio Pardini, non appartiene solo alla Maciste Dischi, di fatto una delle più luminose realtà della discografia nostrana grazie alle orecchie d’oro di Gno Sarubbi, dal giorno 0 della sua avventura indipendente capace di individuare come nessuno musicisti in grado di provocare questi corto circuiti emozionali, basti pensare al talento smisurato di artisti del calibro di Mobrici (di gran lunga il più entusiasmante domatore di palchi italiano) o Fulminacci (il più credibile erede di quel cantautorato impegnato che tanto rimpiangiamo); no, Gazzelle appartiene a tutti coloro i quali, e sono tanti, nella sua idea di musica e di storie, si sono riconosciuti, specchiati, trovati e risolti.

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