AGI – Si trova alla foce del fiume Cottone, nella baia tra Punta Piccola e Punta Grande, e, alzandolo dagli splendidi mosaici, lo sguardo si riempie del colore del mare: è la “villa maritima” di età imperiale che a Realmonte, nell’Agrigentino, fa da controcanto per bellezza alla Scala dei Turchi, a qualche centinaio di metri. Risalente al primo secolo dopo Cristo, con le terme perfettamente visibili, i suoi resti tornano fruibili dopo i lavori di recupero finanziati dal Parco archeologico Valle dei Templi mentre in un prossimo futuro un percorso di visita unico comprenderà sia i mosaici e le terme della domus in contrada Durrueli che la Scala dei turchi, inaccessibile al pubblico per rischio crolli ed erosioni dal febbraio 2020.
La villa sorge al centro della baia di Punta Grande, alla foce del torrente Cottone, pochi chilometri a Ovest dello scalo commerciale di Agrigentum. Affacciata sul mare, è organizzata in due settori principali: uno residenziale, con peristilio-giardino, cubicula (camere da letto), tablinum (sala-soggiorno), triclinium (sala da pranzo), magazzini; e uno termale, che comprende due grandi ambienti spogliatoio (apodyteria), uno dei quali con pareti rivestite in marmo e pavimento mosaicato in tessere rosa e nere con la rappresentazione di Scilla, mostro marino femminile che tiene un timone, il calidarium, piccola stanza riscaldata, e il frigidarium, con pareti rivestite in marmo e pavimento mosaicato, da cui si accedeva ad una grande vasca circolare con le pareti rivestite di marmo.
Le costruzione della villa può essere datata alla prima metà del II secolo d.C. Secondo un’ipotesi, basata sul rinvenimento di alcune tegole con bollo di fabbrica, la villa sarebbe appartenuta ad un esponente dell’importante famiglia degli Annii, di cui è noto il coinvolgimento nello sfruttamento delle miniere di zolfo del territorio agrigentino. La villa, si legge sul sito del Comune di Realmonte, venne individuata nel 1907 durante i lavori per la costruzione della ferrovia Porto Empedocle-Siculiana-Castelvetrano, ma fino agli anni Settanta non e’ stata valorizzata come si deve. Nel 1979 la Soprintendenza alle Antichità di Agrigento affidò a una equipe di archeologi giapponesi, guidati da Masanara Aoyagi, il compito di riprendere i lavori in quella zona. La missione giapponese, nel giro di pochi anni, portò alla luce l’intera struttura e i resti mortali di una donna. Alcuni mosaici rappresentano “Posidone” su un ippocampo, mentre piu’ a nord vi e’ raffigurato il mitico Tritone dal corpo per metà pesciforme che viene portato su da un cocchio tirato da due enormi mostri marini. (AGI)