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Ultimi giorni per visitare la mostra “Alberto sordi e il suo tempo”

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AGI – Oltre 16.000 gli ingressi alla mostra “Alberto Sordi e il suo tempo”! Nell’ultimo fine settimana di novembre, la mostra sarà visitabile dalle 10 alle 13 oltre che dalle 16 alle 20. La mostra è ospitata nella Casa Museo Alberto Sordi, la storica villa in cui l’attore visse dal 1958 al 2003, sede dell’Archivio Storico e della Fondazione Museo che per l’occasione apre al pubblico il Grande Salone e il Teatro dove Sordi usava proiettare in anteprima le pellicole dei suoi film.

Alberto Sordi è parte integrante dell’identità culturale e civica nazionale e ponte di comunicazione narrativa tra le generazioni. La mostra “Alberto Sordi e il suo Tempo”, da ai più giovani l’opportunità di conoscere e ai più adulti l’opportunità di ricordare, ma in entrambi i casi un’opportunità per non dimenticare. 

Realizzata in collaborazione con la Fondazione Alberto Sordi per i giovani, l’Archivio Storico Istituto Luce Cinecittà e Rai Teche, la mostra presenta materiali provenienti dall’Archivio Storico della Fondazione Museo Alberto Sordi e da altri 13 archivi fotografici pubblici e privati.

“Alberto Sordi e il suo Tempo”, a cura di Alessandra Maria Sette, ripercorre ed intreccia la carriera professionale di Alberto Sordi con le vicende del nostro Paese, dal 1920 al 2003. Il primo e secondo dopoguerra, il boom economico, gli anni di piombo, il referendum sul divorzio, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, sono solo alcuni degli eventi storici del secolo scorso, in cui importanti conquiste si alternano a forti tensioni sociali.

Alberto Sordi è un uomo del suo tempo e restituisce attraverso i suoi personaggi uno stereotipo universale. Con inimitabile talento coglie vizi e virtù dell’italiano medio regalando indimenticabili interpretazioni, da Oreste Jacovacci, al Prof. Dott. Guido Tersilli, Remo Proietti, Giovanni Vivaldi, Alberto Mariani e moltissimi altri protagonisti di un’Italia della ricostruzione e del cambiamento.

Ingresso gratuito, senza necessità di prenotazione aperta dal martedì alla domenica, dalle 16 alle 20.

 

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Apre a Roma la mostra sul più grande scultore dell’età classica

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AGI –  Il più grande scultore greco dell’età classica, FIDIA. Protagonista dell’Atene di Pericle, il suo nome è noto a tutti per la realizzazione di opere come il Partenone e le sue decorazioni scultoree e i mitici colossi crisoelefantini dell’Atena Parthenos e dello Zeus di Olimpia, una delle sette meraviglie del mondo antico. Il suo genio creativo ha impresso un marchio indelebile nell’immaginario collettivo e continua ad essere fonte di ispirazione per i contemporanei.

Una figura importantissima, quasi leggendaria, sebbene circondata da un alone di mistero. Molti dettagli della sua vita sono infatti poco noti e la conoscenza della sua opera si basa prevalentemente su repliche e su fonti letterarie.

A Roma si apre la mostra “FIDIA”,  visitabile fino al 5 maggio 2024 presso i Musei Capitolini – Villa Caffarelli a Roma, è la prima esposizione monografica dedicata all’artista.

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e curata da Claudio Parisi Presicce con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura, Main sponsor Bulgari, Radio ufficiale Radio Monte Carlo, guiderà i visitatori in un viaggio inaspettato e sorprendente nella vita, nella carriera e nel clima storico-culturale in cui operò il grande scultore, attraverso una vasta e preziosa selezione di oltre 100 opere – tra reperti archeologici, originali greci e repliche romane, dipinti, manoscritti, disegni, alcuni esposti per la prima volta.

La mostra inaugura un ciclo di cinque mostre, “I Grandi Maestri della Grecia Antica“, dirette a far conoscere al grande pubblico i principali protagonisti della scultura greca. Un ciclo tanto più significativo a Roma, città da cui provengono importantissime testimonianze dell’attività di Fidia e della sua riscoperta dal Rinascimento in poi, tramite le preziose copie romane di capolavori originali per la maggior parte andati perduti.

“Siamo lieti di ospitare nei Musei Capitolini, uno dei musei più importanti di Roma Capitale, la prima mostra monografica dedicata a Fidia, il più grande scultore dell’età classica – dichiara il Sindaco di Roma Roberto Gualtieri – Il suo straordinario contributo artistico non solo ha definito i canoni dell’arte classica ma ha anche inciso profondamente sull’estetica moderna e contemporanea, influenzando gli artisti di tutte le epoche successive. Ringrazio i numerosi musei e le istituzioni italiane e internazionali che con i loro prestiti hanno contribuito a rendere unica questa esposizione.”

“Abbiamo deciso di inaugurare il ciclo di mostre su “I grandi Maestri della Grecia Antica” con un’esposizione monografica dedicata a Fidia, considerato, già nell’antichità, il più grande scultore di tutti i tempi. A lui erano riconosciute le qualità della maiestas e del pondus, bellezza e maestosità, la capacità di rendere in modo appropriato persino la divina natura degli Dei –  dichiara il Sovrintendente Capitolino Claudio Parisi Presicce – Dotato di una personalità eclettica e versatile, oltre a qualità artistiche fuori dal comune possedeva grandi capacità organizzative, tanto che Pericle, nell’Atene del V secolo a.C., decise di affidargli i complessi lavori di ristrutturazione dell’Acropoli e in particolare il delicato ruolo di “episkopos”, “sovrintendente”, del cantiere del Partenone”.

 

“È un onore per Bulgari – afferma l’Amministratore Delegato Jean-Christophe Babin –condividere le proprie origini con un artista unico come Fidia e supportare una esposizione tanto prestigiosa. Un viaggio ideale dalla Grecia a Roma che ci ricorda quello del nostro grande fondatore, Sotirio Bulgari. Fidia è stato senza alcun dubbio l’artista ateniese che ha saputo incarnare meglio di altri lo spirito del suo tempo. Magistrale per l’equilibrio e la simmetria delle sue opere, un simbolo dell’arte greca classica che siamo fieri di accogliere a Roma in un luogo unico come quello dei Musei Capitolini. Il legame tra Bulgari e l’arte è sempre più indissolubile e nutre quotidianamente la nostra visione”.

Il percorso espositivo è articolato in 6 sezioni: Il ritratto di Fidia; L’età di Fidia; Il Partenone e l’Atena Parthenos; Fidia fuori da Atene; L’eredità di Fidia; Opus Phidiae: Fidia oltre la fine del mondo antico.

Oltre ad opere provenienti dal Sistema Musei di Roma Capitale – Musei Capitolini, Centrale Montemartini, Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco e Museo di Roma – e da importanti istituzioni italiane, come il Museo Archeologico di Bologna, l’Accademia di Belle Arti di Ravenna, il Museo Archeologico di Napoli e l’Archivio Cambellotti, la mostra vanta prestiti provenienti dai più importanti musei del mondo, tra cui: Museo dell’Acropoli, Museo Archeologico Nazionale e Museo Epigrafico di Atene; Museo Archeologico di Olimpia; Kunsthistorisches Museum di Vienna; Metropolitan Museum of Art di New York; Musei Vaticani; Museo del Louvre e Museo Rodin di Parigi; Liebieghaus Skulpturensammlung di Francoforte; Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen; Staatsbibliothek e Staatliche Museen, Antikensammlung di  Berlino.

In alcuni casi si tratta di prestiti straordinari, ossia di opere mai uscite prima d’ora dalle loro sedi museali, come i due frammenti originali del fregio del Partenone, più precisamente un frammento dal fregio nord con oplita, un “soldato greco”, e un frammento dal fregio sud con giovane e bovino, concessi eccezionalmente dal Museo dell’Acropoli di Atene. A questi si aggiungono altri due frammenti originali con cavalieri e uomini barbati provenienti invece dal Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Tra gli altri reperti esposti si segnalano il vaso con incisa la scritta “Pheidiou eimi” (Sono di Fidia) proveniente dal Museo Archeologico di Olimpia, uno dei rari oggetti personali appartenuti a un personaggio celebre dell’antichità e giunti fino a noi; la replica dello scudo dell’Atena Parthenos, il cosiddetto scudo Strangford – copia di epoca romana in marmo pentelico dell’originale appartenente alla statua di Atena realizzata in oro e avorio e collocata nella cella nel Partenone – proveniente dalla collezione del British Museum; due statuette in bronzo che rappresentano la figura dell’artigiano (identificato forse anche con lo stesso Fidia), prestiti d’eccezione del Metropolitan Museum of Art di New York e dell’Archaeological Museum of Ioannina, in Grecia; la testa dell’Atena Lemnia in marmo, copia augustea di un originale fidiaco, del Museo Civico Archeologico di Bologna; il Codice Hamilton 254 (Staatsbibliothek zu Berlin), manoscritto quattrocentesco contenente la prima immagine del Partenone arrivata in Europa. Di grande interesse il prestito del cosiddetto taccuino Carrey (1674) della Biblioteca Nazionale Francese, nel quale è riprodotta la decorazione del Partenone prima dell’esplosione che lo distrusse nel 1687. È inoltre proposto un Modello del tempio di Zeus a Olimpia realizzato nel 1997 da M. Goudin, una ricostruzione parziale in legno di tiglio e noce, prestato dal Musée du Louvre di Parigi.

A supporto dei visitatori anche installazioni multimediali e contenuti digitali: nella terza sezione, dedicata a “Il Partenone e l’Atena Parthenos” viene offerta l’occasione unica di essere trasportati indietro nel tempo e di rivivere la visita del monumento attraverso l’installazione Fidia e il Partenone. Un’esperienza interattiva e coinvolgente ispirata ai modelli della realtà virtuale e della realtà aumentata.

Da una parte, il piano scenografico è costituito da una grande proiezione fotorealistica che ricostruisce in 3D Acropoli e Partenone e permette all’utente di muoversi in volo intorno al tempio, cambiando la luce del sole lungo l’arco temporale della giornata, dall’alba al tramonto; dall’altra, un‘interfaccia touch offre una sorta di “radiografia” del Partenone e l’accesso a tutti gli approfondimenti scientifici, come l’esplorazione di alcuni dettagli architettonici.

Tra le attività collaterali nell’ambito dell’esposizione, la Sovrintendenza Capitolina conferma l’impegno sui temi dell’accessibilità, con un programma di visite guidate integrate accompagnate da interpreti LIS – Lingua dei Segni Italiana – grazie alla collaborazione del Dipartimento Politiche Sociali, Direzione Servizi alla Persona di Roma Capitale.

Saranno presto disponibili, su prenotazione a richiesta, visite per persone ipovedenti e non vedenti. Sono stati concessi in prestito modelli dal Museo Tattile Statale “Omero” e un calco in gesso della Scuola di Arti Ornamentali di Roma Capitale tratto proprio dalla testa di Atena della collezione Palagi, oggi al Museo Civico di Bologna, che è stata scelta per il manifesto della mostra.

Infine, a corredo della mostra, il catalogo “Fidia” edito da «L’erma» di Bretschneider. Saggi a cura di Claudo Parisi Presicce, Riccardo di Cesare, Giovanni Marginesu, Massimiliano Papini, Nikolaos Stampolidis, Alessandra Avagliano, Annalisa Lo Monaco, Elena Ghisellini, Eugenio La Rocca, Eloisa Dodero.

 

 

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“Notturno libico”, la persecuzione degli ebrei nella Libia di Gheddafi

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AGI – Non è molto noto il fatto che sotto il re Idriss, il regno di Libia non si distinguesse per una qualche forma di persecuzione nei confronti della comunità ebraica libica. E’ certamente almeno impensabile che di vera persecuzione, particolarmente accanita, si macchiassero mai i libici, prima abituati a una relativa tranquillità sotto la dinastia regnante. 

Il re Idriss era riuscito in qualche modo ad assicurare in Libia una certa convivenza tra la popolazione araba, ebraica, italiana (e c’era anche la piu grande base americana del mediterraneo). Gli ebrei erano là da quasi duemila anni. Il fuoco covava sotto la cenere e quando Idriss malato ha dovuto lasciare, allo scoppio della guerra dei Sei giorni, questo braciere esplode in Libia ma anche in altri paesi del nordafrica.

In tutto dovettero lasciare i loro paesi oltre 900 mila ebrei. La Guerra dei Sei giorni nel 1967, destabilizzando poi il Paese, scatenò nella Libia una vera caccia agli ebrei della numerosa comunità presente nel paese africano dove migliaia di persone furono costrette all’improvviso a fuggire in fretta con una valigia e poche monete con sé, abbandonando ogni cosa in quello che consideravano da sempre il loro paese, provocando una nuova diaspora come fu per la Spagna nel XVI secolo.

Cacciati senza pietà da casa, gli ebrei libici cercarono un rifugio in una terra scavandosi uno spazio problematico e foriero di nuovi conflitti. Raffaele Genah, giornalista nato in Libia appartenente da sempre a quella comunità, in un libro agile e vivo, edito da Solferino e dal titolo “Notturno libico”- La persecuzione degli ebrei di Libia”, dipinge un quadro realistico dei giorni della persecuzione sotto la rivoluzione degli ufficiali nasseriani guidati dal colonnello Gheddafi (rimasto al potere per 42 anni fino al 20 ottobre del 2011 quando fu brutalmente ucciso dai ribelli a Sirte). 

Oltre alla breve e sintetica sintesi degli avvenimenti che sconvolsero la pacifica vita di una intera comunità, il libro, narra le vicende drammatiche di una coppia, un uomo e una donna, Giulio e Jasmine, che ci raccontano a due voci le loro storie.

L’uno, arrestato senza accuse di alcun genere e chiuso in carcere per oltre quattro anni, l’altra la moglie che dedica la sua vita, attraverso le mille trappole di una giungla di rapporti e relazioni, con l’unico scopo di liberare il marito privo di qualsiasi accusa e del tutto innocente perfino nell’ambiente.

La descrizione dei mille modi che Giulio adotta per sopravvivere grazie a un carattere di acciaio, alla sua  ferma volontà di non cedere  e soprattutto alla coraggiosa e determinata Jasmine, moglie innamorata, che non lascia di nulla di intentato per riuscire a trovare la chiave che sciolga le catene dello sfortunato ma determinato e tenace marito. Il lettore è quasi trascinato a seguire le alterne vicende della coppia con la stessa ansia e la stessa partecipazione emotiva di una storia, intensamente vissuta, condotta  a lieto fine.  

Ma è proprio il lieto fine che conferisce a questo libro un’aura di speranza nella forza che può dispiegare la volontà, l’intelligenza e la reciproca fiducia di due persone che si amano e vogliono combattere fino in fondo la lotta per la propria vita.

“Come molti della mia comunità conoscevo per grandi linee la storia di Giulio – ha detto all’AGI Genah –  un giovane ingegnere finito, solo perché ebreo, nelle carceri di Gheddafi, dove fu rinchiuso per quasi quattro anni e mezzo. Non sapevo invece niente della battaglia della sua straordinaria moglie Jasmine, che per quasi tre anni non sa nemmeno dove abbiano portato il padre dei loro due bambini (uno di due anni, l’altra di pochi mesi) e nemmeno se sia ancora vivo”.

“Ma si batte come una leonessa – ha spiegato il giornalista -, smuove mari e monti, si rivolge a diverse organizzazioni internazionali, al Vaticano, ad ambasciatori e ministri di diversi paesi e alla fine torna completamente sola, con estremo coraggio, a Tripoli e riesce a far liberare il marito. Ecco, questa parte della storia mi mancava: perciò ho deciso di intrecciare i loro racconti, alternando le voci in un’unica trama, e ne è uscito quello che considero un vero reportage sugli albori della rivoluzione di Gheddafi, nel racconto di due protagonisti che vedono la storia scorrere da due diversi punti di osservazione”.

Un lavoro coinvolgente: “Molto – ha affermato l’autore -. Quella storia appartiene ad un’intera comunità di cui mi sento parte e che non può essere cancellata come hanno provato a fare, edificando perfino palazzi, strade e supermercati sulle tombe dei nostri morti proprio perché non restasse alcuna traccia di una presenza bimillenaria. Questa storia non risponde solo ad un dovere di memoria, ma trova una tragica attualità nei fatti di oggi”.

E questo perchè, ha spiegato ancora Genah, “quello che è accaduto il 7 ottobre scorso in Israele richiama, in proporzioni ovviamente ben maggiori, i pogrom avvenuti in Libia nel ‘45 e nel ‘48 con le stesse crudeltà, le violenze sulle donne a cui furono perfino strappati i feti che portavano in grembo. E poi in parte anche nel 67 con gli assalti alle case degli ebrei, i roghi dei loro negozi e delle sinagoghe. Due intere famiglie – donne, bambini, anziani – sterminate e i loro corpi bruciati. I morti e le persecuzioni. Scene che si sono ripetute in altri paesi del Nordafrica da cui silenziosamente se ne sono dovute andare 900mila persone. E come dice un vecchio adagio: ‘gli ebrei sono come i canarini nelle miniere: quando non se ne vedono più in giro vuol dire che l’aria è ormai irrespirabile’.

Pregiudizi e ignoranza camminano tenendosi sottobraccio…”E alle stratificazioni che si sono sedimentate negli secoli – ha aggiunto ancora lo scrittore – aggiungerei quell’ideologismo post-ideologico che nasce già con radici antiche e si diffonde, moltiplicandosi come la gramigna”. A chi consigliare questo libro? “Lo consiglierei a chi è sinceramente interessato a conoscere una pagina della nostra storia contemporanea finora troppo poco conosciuta. E per dirla con le parole di Edmond Burke, ‘chi non conosce la storia è condannato a ripeterla’”. 

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Le opere di Antonio Del Donno presenti a “Roma Arte in Nuvola”

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Le opere di Antonio Del Donno presenti a “Roma Arte in Nuvola”
Nella terza edizione della manifestazione che si svolgerà dal 23 al 26 novembre

Nella splendida “Nuvola”, l’opera architettonica progettata nel quartiere Eur di Roma da Massimiliano Fuksas, avrà sede la terza edizione della manifestazione “Roma Arte in Nuvola”, alla quale parteciperanno importanti gallerie d’arte e che ha raccolto nelle precedenti edizioni un grande successo. Tra i numerosi stand, distribuiti su una superficie di quattordicimila metri quadrati, sarà presente, tra le altre, Art4ever, la galleria di Milano di Gianpaolo Faralli e Alessandro Ferrero, che esporrà quest’anno anche opere di Antonio Del Donno.

Le opere del maestro beneventano saranno presenti nello stand della Art4ever, allestito in collaborazione con Gabriele Di Gifico, insieme a quelle di nomi sacri dell’arte, quali Carol Rama, Agostino Bonalumi, Mario Schifano, Giorgio Griffa, Piero Gilardi, Ben Vautier, Bengt Lindström, Paul Jenkins, Tano Festa e Franco Angeli, segno dell’importanza crescente che le opere di Antonio Del Donno stanno assumendo in questi ultimi tempi, spinte dagli apprezzamenti sempre più numerosi del mercato e dei critici.

Presente a Roma nei Musei Vaticani e in varie collezioni pubbliche e private, tra le quali la collezione della Farnesina, il compianto artista sta vivendo adesso una notevole riscoperta, con numerose mostre ed eventi in Italia, e questa presenza ad “Arte in Nuvola” permetterà ancor più al pubblico romano, e non solo, di apprezzare la sua sensibilità artistica e il valore del suo pensiero.

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Morta l’attrice Anna Kanakis, aveva 61 anni

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AGI – È morta Anna Kanakis, modella, attrice e scrittrice. Aveva 61 anni. La notizia, confermata da fonti vicino alla famiglia, sta correndo sui social dove si susseguono i messaggi di cordoglio. Di padre greco e madre siciliana, nel 1977 fu la più giovane Miss Italia, eletta quando aveva appena 15 anni. Ha recitato in oltre 30 film, in Italia e all’estero e ha avuto anche una breve esperienza in politica come dirigente nazionale ‘Cultura e Spettacolo’ dell’Udr, il partito fondato da Francesco Cossiga. 

“Colta, bellissima, elegante, raffinata, originale, chic, ‘divina’. Che perdita”. Uno dei primi a commentare su X la scomparsa di Anna Kanakis è l’attore e regista Giulio Base. Sui social si leggono poi i commenti di altri colleghi e amici tra cui Clemente Minum e Francesco Canino. I funerali si terranno giovedì 23 novembre, alle ore 15, nella chiesa di San Salvatore in Lauro a Roma.

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La personale di Edward Spitz sarà esposta ad Arte in Nuvola

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AGI – Una nuova personale di Edward Spitz, l’artista senza volto, che rompe lo schema narrativo del fumetto e lo trasforma in opera d’arte: dopo il grande successo della mostra di settembre a Torino a cura di Ermanno Tedeschi, le opere dell’artista si trasferiscono a Roma nella fiera Arte in Nuvola, la fiera di arte moderna e contemporanea della Capitale dal 24 al 26 novembre (Arthotel – Stand E17 – livello 0).

Roma Arte in Nuvola offre una proposta artistico-culturale di alto profilo che rappresenta tutte le discipline, dalla pittura alle installazioni, dalla scultura alle performance, dalla video arte alla digital art, alla street art, radunando le più importanti e rinomate gallerie italiane e internazionali e presentando numerosi progetti speciali: mostre, installazioni e performance.

Un’esplosione di colori, figure irriverenti e denunce sociali provocatorie celate sotto un velo di ironia: questi gli ingredienti dell’esposizione di Edward Spitz. L’artista contemporaneo affronta temi sociali attraverso espressioni artistiche dal forte impatto decorativo: Spitz ha l’abilità di saper sapientemente fondere le pagine di originali fumetti d’epoca, che utilizza per realizzare lo sfondo, e vi sovrappone “icone” dipinte a mano e poi “sigillate” da uno spesso strato di resina non prima di avergli dato voce esprimendo attraverso di essi dei paradossi dell’attuale società di massa ma la sua genialità sta nel fatto che questa sua velata denuncia sociale è in perfetta armonia con il personaggio rappresentato.

“Edward Spitz – spiega il critico Ermanno Tedeschi – ha compreso quale sia il valore artistico del fumetto: dietro l’utilizzo delle strisce come base per la pittura in acrilico e resina dei diversi personaggi, c’è uno profondo studio di carattere psicologico e sociale che rende le sue opere allegre e allo stesso tempo drammatiche, come nella rappresentazione di Paperone o in quella di Topolino, completate da scritte di estrema saggezza o tagliente ironia”.

Edward Spitz è un artista che parla poco si sé, la sua identità è infatti sconosciuta, e preferisce che a parlare siano i suoi quadri. Di lui si sa che è l’artista dei fumetti, di cui è anche un irriverente collezionista. Naturalmente è un accanito lettore di strisce: Topolino, Braccio di Ferro, Linus e Superman. I classici. Le sue opere sono esposte in diversi luoghi pubblici e privati in Italia e all’estero. Partecipa a collettive e personali, il primo debutto a Tel Aviv nel 2018 con l’esposizione “Unforgettable Childhood Infanzia indimenticabile”, per proseguire tra Roma, Matera, nel 2019 anno in cui la città è stata capitale europea della cultura, con “Quando il mouse era Micky era tutto più vero”. Ultima, ma solo per ordine di tempo, la partecipazione allo mostra collettiva “Giocare a Regola d’Arte”, allestita a giugno – agosto 2023 a Tokyo presso l’Istituto Italiano di Cultura, in collaborazione con l’Ambasciata Italiana in Giappone.

L’artista ha fatto suoi quegli aspetti che appartengono al mondo della cultura del fumetto, ha così sviluppato una forma d’arte apparentemente semplice ed immediata dal forte impatto decorativo che ha senza dubbio contribuito al suo fulmineo successo ma che nasconde ad una più attenta analisi, come ogni fumetto che si rispetti, un profondo studio di carattere psicologico e sociale che rendono le sue opere allegre ma mai superficiali .

Edward Spitz fa un’ulteriore ricerca tecnica e visiva scegliendo di personalizzare ogni singola opera con la rappresentazione coerente di un personaggio ogni volta diverso. Un protagonista che appartiene alla cultura popolare di massa mutuato dall’universo fumettistico e di cui tutti ,al di là di qualsiasi status o età hanno memoria visiva.

 

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Il Don Carlo di Verdi inaugura la Scala, è già sold out

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AGI –  Mancano oltre due settimane alla Prima del Don Carlo di Verdi, l’opera che il prossimo 7 dicembre inaugurerà la Stagione d’Opera 2023/2024 al Teatro alla Scala di Milano e i biglietti, dalla platea ai palchi, sono già tutti esauriti.

L’opera dei “primati”, che ha inaugurato la Stagione nel 1868, 1878, 1912, 1926, 1968, 1977, 1992 e 2008, sarà diretta dal Direttore Musicale Riccardo Chailly sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala con un cast che schiera Francesco Meli come Don Carlo, Anna Netrebko come Elisabetta di Valois, Michele Pertusi come Filippo II, Elna Garana come Principessa d’Eboli, Luca Salsi come Marchese di Posa e Ain Anger come Grande Inquisitore.

Protagonista di non minore rilievo il Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi. Le scene sono di Daniel Bianco, i costumi di Franca Squarciapino, le luci di Pascal Merat, i video di Franc Aleu e la coreografia di Nuria Castejon. 

Il sipario si alzerà alle 18 con la versione del Don Carlo approntata dal compositore per la Scala nel 1884. Come ogni anno lo spettacolo sarà ripreso dalle telecamere di Rai Cultura e trasmesso in diretta televisiva su Rai1 e radiofonica su Radio3.

La Prima sarà preceduta domenica 3 dicembre dall’Anteprima per gli Under30 e seguita fino al 2 gennaio da 7 rappresentazioni tutte esaurite.
Per Riccardo Chailly Don Carlo è il compimento di una riflessione sul potere estesa su tre inaugurazioni di Stagione, dopo Macbeth di Verdi nel 2021 e Boris Godunov nel 2022.

Si tratta anche di un ritorno al Verdi della maturità dopo le tre inaugurazioni dedicate all’evoluzione delle opere giovanili con Giovanna d’Arco nel 2015, Attila nel 2018 e Macbeth nel 2021. Nel suo nuovo approccio a Don Carlo, che aveva diretto ad Amsterdam nel 2010, il Maestro torna con la memoria alle edizioni dirette da Claudio Abbado nel 1968 e 1977, di cui aveva seguito le prove, ma fa riferimento anche allo studio diretto dei manoscritti messigli a disposizione da Ricordi.

Come nell’edizione di Abbado, si ascolterà l’introduzione al monologo di Filippo affidato alla fila dei violoncelli secondo partitura e non al violoncello solo come spesso avviene. Don Carlo torna al Teatro alla Scala in una grande produzione che rispecchia la doppia natura di dramma storico e manifesto romantico dell’originale schilleriano mettendo in luce gli straordinari artisti e artigiani che operano nei laboratori del Teatro.

Un impianto scenico unico si trasforma senza interrompere lo svolgimento dell’azione nei diversi spazi previsti dal libretto grazie alla spettacolare alternanza di colossali elementi scenografici. Verdi propone i temi a lui cari della libertà dei sentimenti, della difficile relazione tra padri e figli e della liberazione dei popoli oppressi sullo sfondo del conflitto tra il potere temporale e quello religioso.

Per rendere l’atmosfera sospesa tra ambiente ecclesiastico e secolare il regista Lluìs Pasqual e lo scenografo Daniel Bianco hanno fatto riferimento all’uso dell’alabastro nelle finestre degli edifici religiosi ma anche civili e in particolare alla grande finestra della Collegiata di Santa Maria La Mayor nella città spagnola di Toro.

Una grande torre di alabastro è inquadrata in un sistema di cancellate che anch’esse ricorrono nell’architettura religiosa quanto in quella civile. La scena permette di ritagliare nei grandi spazi del palcoscenico i numerosi momenti di intimità e di isolamento che punteggiano la tragedia. 

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L’8 dicembre torna Raffaella Carrà con l’album “Gli anni Rca”

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AGI – Raffaella Carrà, un’icona intramontabile della musica e dello spettacolo che ha catturato il cuore di milioni di fan, lasciando un’impronta indelebile nella cultura e nella scena italiana e internazionale… L’8 dicembre esce “Gli anni Rca di Raffaella i singoli 1971-1972″ (Sony Music), l’esclusivo cofanetto che fa seguito al precedente “Raffaella Carrà. Gli anni RCA – i singoli 1970-1971”.

Il cofanetto racchiude quattro 45 giri originali e uno inedito e conclude il ciclo dei singoli RCA di Raffaella Carrà degli anni ’70. Il 7” 45 giri inedito contiene “Tuca Tuca (English vrs) / Regue (Reggae Rrrr Spanish vrs)”. In questa versione, “Tuca Tuca (I Like It)” viene stampato per la prima volta in assoluto sul supporto vinile e il brano “Regue” sarà disponibile per la prima volta in Italia in quanto stampato in origine unicamente per il mercato cileno nel 1971. La riproduzione fedele alla versione originale dei quattro dischi e l’aggiunta del disco bonus rendono questo cofanetto un oggetto unico da collezione.

“Gli Anni RCA di Raffaella i singoli 1971-1972”, che conclude il ciclo dei singoli RCA di Raffaella degli anni ’70, sarà disponibile nelle versioni nero negli store fisici e digitali e colorato in tiratura limitata e numerata a 500 copie unicamente sullo Store Sony Music. La copertina di questo cofanetto è impreziosita da uno scatto inedito, catturato dall’occhio acuto di Gianni Boncompagni. È proprio in quegli anni che Raffaella arriva al successo televisivo e conosce Gianni, con cui ha poi condiviso tantissimi anni di carriera.

Da giugno, inoltre, sono finalmente disponibili per l’ascolto in digitale gli album “Fiesta (Italian Edition)”, “Mi spendo tutto”, “Raffaella (1988)”, “Raffaella (1971)”, “Raffaella Senzarespiro”, “Scatola a sorpresa”, “Milleluci”, “Felicità tà tà” e “Raffaella (1978)” per un totale di 9 album disponibili sulle piattaforme streaming e in digital download. Disney presenta inoltre Raffa, la prima docuserie originale dedicata a Raffaella Carrà, disponibile dal 27 dicembre sulla piattaforma streaming.

La docuserie, prodotta da Fremantle, è diretta da Daniele Luchetti e scritta da Cristiana Farina con Carlo Altinier, Barbara Boncompagni, Salvatore Coppolino, Salvo Guercio e ripercorre la straordinaria vita di una delle icone della cultura pop in tutto il mondo. Nel 2024 i fan di Raffaella Carrà potranno aspettarsi ulteriori sorprese poichè si celebrano gli anniversari di alcuni dei momenti più significativi nella sua grandiosa carriera.

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Il fotografo ragazzino e lo scugnizzo di Villa Fiorito

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AGi – Dietro la crosta dei murales, sotto l’azzurro delle celebrazioni, ci sono altre tracce che Diego Armando Maradona ha lasciato a Napoli e spiegano perché il suo mito non sia cresciuto solo sulla memoria dei successi o grazie alla speciale condizione del campione más grande.

Storie che sbocciarono fuori dal campo, a margine degli albi ufficiali, in sospesa dimensione tra pubblico e privato. Qualcuna la conosciamo, altre non le intercetteremo più, molte hanno a che fare con quelle “apparizioni” che El Pibe disseminò tra la notte e le feste, tra gli allenamenti e le strade minori dove veniva intravisto in macchina o a piedi o forse nemmeno era lui.

Memorie collettive e personali come quelle descritte da Paolo Sorrentino al cinema e celebrate fuori del cinema negli scatti fotografici di Sergio Siano: miriadi di Diego in tutte le pose e gli sguardi, catturati quando vestiva la maglia del Napoli ma con qualcosa in più della cronaca professionale.

Qualcosa che è l’anima di Siano, all’epoca un ragazzino, figlio e fratello d’arte, il più piccolo di casa ma con la voglia di diventare grande subito per cui preferisce salutare la scuola e imbracciare la macchina fotografica fermando con l’obiettivo glorie e orrori di una città uscita da poco dal terremoto, dove le guerre di camorra lasciano sui marciapiedi, a disposizione dei fotoreporter, un eccesso di orrori e dove ogni giorno, uscendo dalla redazione, non sai cosa scatterai mai sai che scatterai qualcosa che lo merita.

Lo sbarco in Cina

Si chiama ‘Il mio Maradona’ la mostra che Siano porta in Cina, nel Padiglione Italia all’Hangzhou Cultural and Creative Industry Expo dal 23 al 27 novembre, affluenza prevista trecentomila visitatori e la partecipazione di sessanta Paesi. Il fotografo napoletano espone trenta scatti più la maglietta col numero 10 e una canottiera che Diego gli donò, con l’auspicio di ripetere il successo che la mostra ha già riscosso a Bruxelles, Londra e Hannover.

“L’ho intitolata ‘Il mio Maradona’ perché il Diego delle mie fotografie non è condizionato da chi ne ha parlato e ne ha scritto allora e dopo”, spiega Siano. Nell’85, quando cominciai questo lavoro, lasciai la scuola e mi dissi che avrei scelto da me i miei professori: il più importante fu Maradona”. Sergio lo fotografava nelle partite e al Centro Paradiso di Soccavo, dove s’allenava la squadra del Napoli (e che è stato appena acquistato da Fabio Cannavaro).

Cosa gli insegnò El Pibe? “La materia più importante: l’umanità. Chi lo ricorda per gli aspetti problematici della sua vita dimentica che andava una volta alla settimana all’orfanotrofio di Pompei, dimentica il bene che ha fatto. Assistere ai suoi allenamenti fu un privilegio, perché spesso venivano persone che non potevano permettersi il biglietto della partita e Diego, che lo sapeva, si esibiva per loro in numeri speciali, neanche visti allo stadio, e con loro parlava tantissimo”, prosegue Siano.

“Quando finivano gli allenamenti e tutti erano andati via, indugiava sul campo con il pallone e mi lasciava rimanere lì perché non lo disturbavo, non lo avevo mai rincorso con la Nikon nella sua vita privata. Ero solo un ragazzo ma capivo che era un uomo tormentato e quello era il suo momento sacro, l’unico in cui poteva starsene da solo e sentirsi libero. Fuori di lì l’assedio dei tifosi, di giornalisti e fotografi sarebbe stato implacabile. Non poteva nemmeno affacciarsi alla finestra di casa. Come lui, anch’io avevo bisogno di quei momenti di pace, che compensavano le mie giornate di fotoreporter di ‘nera’ e la mia vita ai Quartieri Spagnoli, la vita di un ragazzo testimone di tante vicende cattive. Diego mi salutava con affetto e in quel momento c’erano, in un posto che veramente mi sembrava Paradiso, solo un ex scugnizzo di Villa Fiorito e un ex scugnizzo napoletano che si parlavano in silenzio”.

Siano ancora si chiede, e se lo chiedono in molti, perché quel campione avesse scelto un giorno del 1984 di andare in una squadra che non prometteva i trionfi cui avrebbe potuto aspirare altrove. “Perciò respingo tutti i paragoni con Messi, che ha sempre giocato tra grandi calciatori e in grandi club. La risposta che mi sono dato è che Maradona dovesse assolvere a una missione di cui forse lui stesso non si rendeva conto: insegnarci a vincere. Farci credere che si può vincere. Far vincere chi non ha mai vinto. Perciò, quando al termine di quei sette anni se ne andò, né lui né il Napoli vinsero più nulla. La missione s’era compiuta. E la mia missione è raccontarla”.

Cominciando da uno scatto famosissimo però non suo: quello del Pibe che si presenta ai tifosi salendo la scala del San Paolo, il 5 luglio dell’84. Foto firmata Mario Siano, papà di Sergio. L’omaggio è anche per lui.               

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