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Cultura

La Prima alla Scala: 13 minuti di applausi per il Don Carlo di Verdi 

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AGI – Drammatico e romantico, una storia di potere e di amore, senza lieto fine. E’ il Don Carlo di Giuseppe Verdi, firmato da Lluís Pasqual, diretto dal maestro Riccardo Chailly, l’opera più complessa e tormentata del compositore, che stasera ha segnato l’avvio della stagione del Teatro alla Scala di Milano, salutata dal pubblico con 13 di applausi.

Soprattutto per le due cantanti: Anna Netrebko, nel ruolo di Elisabetta di Valois, ed  Elina Garanča, in quello della Principessa d’Eboli, che per il sovrintendente Dominique Meyer sono “la leonessa e la tigre”. Hanno brillato. Mentre qualche perplessità c’è stata sulla regia e, a sentire dal brusio, anche per la direzione di Chailly.

Da dire che l’opera è stata accompagnata da un velo di polemica ‘politica’: quella per i posti nel palco Reale. Ieri il sindaco aveva espresso la volontà di ‘scendere’ in platea per sedersi accanto alla senatrice a vita Liliana Segre. Cosa mai successa in passato. Una impasse superata con l’invito “da parte di Sala e di La Russa” a Segre a occupare un posto nel palco delle autorità.

E così è stato. “Non ho mai mosso un sopracciglio di polemica in questa vicenda – ha spiegato La Russa – perché capivo che era un problema logistico e non politico”.

Dunque, alla fine, a rendere omaggio agli artisti nel palco Centrale c’era la senatrice seduta tra il sindaco e il presidente del Senato Ignazio La Russa. Dietro di loro, il vicepremier Matteo Salvini, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, i ministri Sangiuliano e Casellati. In teatro si è sentita la mancanza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, qui sempre molto amato.

Anche Segre ha ammesso di sentirne la mancanza spiegando di considerarlo “come un fratello”. Stavolta gli applausi – sempre tributati al Capo dello Stato – sono stati per lei, salutata dal pubblico in piedi. Dopo l’Inno di Mameli la polemica però ha fatto nuovamente capolino in sala.

Una voce si è levata forte dal loggione, “Viva l’Italia anti fascista” e “no al fascismo”. Un episodio ridimensionato dal presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana secondo il quale “la musica e la Scala vincono su tutto”.

Il presidente la Russa assicura di non aver “sentito nulla”. E per Salvini “se uno viene a sbraitare alla Scala o a fischiare agli Ambrosini ha un problema. E’ nel posto sbagliato. Qui si ascolta e non si urla”.

Altra ‘ombra’: stasera non c’è stato il saluto da parte del presidente del Senato al maestro Chailly e agli artisti e maestranze, che di consuetudine viene fatto dalle autorità durante il primo intervallo.

Pochi giorni fa, le rsa e rls Slc-Cgil e Anpi Scala avevano detto che non avrebbero partecipato “ad alcun cerimoniale di saluto istituzionale rivolto a chi non ha mai condannato il fascismo”.

A salutare il direttore d’orchestra sono andati Sangiuliano, Sala e Meyer. Non La Russa, che però al termine della serata ha spiegato: “Non l’ho voluto dire prima per non fare polemica, ma c’è proprio ignoranza dei ruoli istituzionali. Quando non c’è il presidente della Repubblica, non è che il presidente del Senato è il suo supplente”. Spazio alla musica dunque, e fine delle questioni.

Il cast “glorioso”, forte di grandi voci e ben affiatato era già una garanzia. In scena la super star amatissima da pubblico e critica, Anna Netrebko, e Francesco Meli, che hanno raggiunto le sei inaugurazioni ciascuno. Luca Salsi, era alla quarta.

Con loro Michele Pertusi e la straordinaria Elina Garanča. Lo spettacolo firmato da Lluís Pasqual ha portato in scena un’opera concepita “come tragedia Shakespeariana che ci svela il dietro le quinte del potere. Con il back stage dove i personaggi sono di una solitudine enorme “.

Sul palco pochi colori, oro, alabastro e tanta ‘cupezza’ trasmessa da abiti e mantelli neri. Ma come aveva spiegato il premio Oscar Franca Squarciapino a quel tempo il nero era segno di grande agio e “non di tristezza”.

Nel Don Carlo la trama è complessa, i temi cari al compositore ci sono tutti, l’amicizia, il popolo sottomesso, i problemi tra padre e figlio, il potere, la religione, l’amore tormentato. E ci sono personaggi con diverse sfaccettature. Mettere tutto in scena non è stato facile.

A far sentire “il respiro del compositore” ci ha pensato il direttore d’orchestra Riccardo Chailly che con il Don Carlo chiude la ‘Trilogia del Potere’, iniziata con Macbeth nel 2021 e Boris Godunov nel 2022.

Redazione

Autore Redazione