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Cultura

Il fotografo ragazzino e lo scugnizzo di Villa Fiorito

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AGi – Dietro la crosta dei murales, sotto l’azzurro delle celebrazioni, ci sono altre tracce che Diego Armando Maradona ha lasciato a Napoli e spiegano perché il suo mito non sia cresciuto solo sulla memoria dei successi o grazie alla speciale condizione del campione más grande.

Storie che sbocciarono fuori dal campo, a margine degli albi ufficiali, in sospesa dimensione tra pubblico e privato. Qualcuna la conosciamo, altre non le intercetteremo più, molte hanno a che fare con quelle “apparizioni” che El Pibe disseminò tra la notte e le feste, tra gli allenamenti e le strade minori dove veniva intravisto in macchina o a piedi o forse nemmeno era lui.

Memorie collettive e personali come quelle descritte da Paolo Sorrentino al cinema e celebrate fuori del cinema negli scatti fotografici di Sergio Siano: miriadi di Diego in tutte le pose e gli sguardi, catturati quando vestiva la maglia del Napoli ma con qualcosa in più della cronaca professionale.

Qualcosa che è l’anima di Siano, all’epoca un ragazzino, figlio e fratello d’arte, il più piccolo di casa ma con la voglia di diventare grande subito per cui preferisce salutare la scuola e imbracciare la macchina fotografica fermando con l’obiettivo glorie e orrori di una città uscita da poco dal terremoto, dove le guerre di camorra lasciano sui marciapiedi, a disposizione dei fotoreporter, un eccesso di orrori e dove ogni giorno, uscendo dalla redazione, non sai cosa scatterai mai sai che scatterai qualcosa che lo merita.

Lo sbarco in Cina

Si chiama ‘Il mio Maradona’ la mostra che Siano porta in Cina, nel Padiglione Italia all’Hangzhou Cultural and Creative Industry Expo dal 23 al 27 novembre, affluenza prevista trecentomila visitatori e la partecipazione di sessanta Paesi. Il fotografo napoletano espone trenta scatti più la maglietta col numero 10 e una canottiera che Diego gli donò, con l’auspicio di ripetere il successo che la mostra ha già riscosso a Bruxelles, Londra e Hannover.

“L’ho intitolata ‘Il mio Maradona’ perché il Diego delle mie fotografie non è condizionato da chi ne ha parlato e ne ha scritto allora e dopo”, spiega Siano. Nell’85, quando cominciai questo lavoro, lasciai la scuola e mi dissi che avrei scelto da me i miei professori: il più importante fu Maradona”. Sergio lo fotografava nelle partite e al Centro Paradiso di Soccavo, dove s’allenava la squadra del Napoli (e che è stato appena acquistato da Fabio Cannavaro).

Cosa gli insegnò El Pibe? “La materia più importante: l’umanità. Chi lo ricorda per gli aspetti problematici della sua vita dimentica che andava una volta alla settimana all’orfanotrofio di Pompei, dimentica il bene che ha fatto. Assistere ai suoi allenamenti fu un privilegio, perché spesso venivano persone che non potevano permettersi il biglietto della partita e Diego, che lo sapeva, si esibiva per loro in numeri speciali, neanche visti allo stadio, e con loro parlava tantissimo”, prosegue Siano.

“Quando finivano gli allenamenti e tutti erano andati via, indugiava sul campo con il pallone e mi lasciava rimanere lì perché non lo disturbavo, non lo avevo mai rincorso con la Nikon nella sua vita privata. Ero solo un ragazzo ma capivo che era un uomo tormentato e quello era il suo momento sacro, l’unico in cui poteva starsene da solo e sentirsi libero. Fuori di lì l’assedio dei tifosi, di giornalisti e fotografi sarebbe stato implacabile. Non poteva nemmeno affacciarsi alla finestra di casa. Come lui, anch’io avevo bisogno di quei momenti di pace, che compensavano le mie giornate di fotoreporter di ‘nera’ e la mia vita ai Quartieri Spagnoli, la vita di un ragazzo testimone di tante vicende cattive. Diego mi salutava con affetto e in quel momento c’erano, in un posto che veramente mi sembrava Paradiso, solo un ex scugnizzo di Villa Fiorito e un ex scugnizzo napoletano che si parlavano in silenzio”.

Siano ancora si chiede, e se lo chiedono in molti, perché quel campione avesse scelto un giorno del 1984 di andare in una squadra che non prometteva i trionfi cui avrebbe potuto aspirare altrove. “Perciò respingo tutti i paragoni con Messi, che ha sempre giocato tra grandi calciatori e in grandi club. La risposta che mi sono dato è che Maradona dovesse assolvere a una missione di cui forse lui stesso non si rendeva conto: insegnarci a vincere. Farci credere che si può vincere. Far vincere chi non ha mai vinto. Perciò, quando al termine di quei sette anni se ne andò, né lui né il Napoli vinsero più nulla. La missione s’era compiuta. E la mia missione è raccontarla”.

Cominciando da uno scatto famosissimo però non suo: quello del Pibe che si presenta ai tifosi salendo la scala del San Paolo, il 5 luglio dell’84. Foto firmata Mario Siano, papà di Sergio. L’omaggio è anche per lui.               

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